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STORICO TRAGUARDO IN SERIE A QUATTROCENTO VOLTE BARESI

Al suo attivo 621 gare in maglia rossonera che salgono a 730 comprendendo anche la Nazionale. Il futuro agonistico verrà deciso a primavera, ma sembra definitivamente tramontata la prospettiva del Giappone. Nel ventaglio di scelte, la possibilità di continuare per un'altra stagione, magari part-time.

Il Capitano del Milan non ha ancora deciso se lasciare

10 gennaio 1995

Al suo attivo 621 gare in maglia rossonera che salgono a 730 comprendendo anche la Nazionale. Il futuro agonistico verrà deciso a primavera, ma sembra definitivamente tramontata la prospettiva del Giappone.

Nel ventaglio di scelte, la possibilità di continuare per un'altra stagione, magari part-time. L'ultima sua missione potrebbe essere quella di guidare alla riscossa il club milanese.

L'ennesimo traguardo di una carriera inimitabile. Inutile guardarsi intorno, un altro Baresi non esiste.

E prima della sua innata grandezza tecnica, degli straordinari traguardi raggiunti in quasi venti anni di carriera, a illustrare un personaggio che esce dai confini sportivi arrivano esempi a valori morali che da soli confortano un'opinione comune.

Oggi Baresi è il Milan come lo è stato Rivera ieri. L'idolo diventato prima punto di riferimento, poi riverito compagno, quindi dirigente e infine osservatore di un mondo che ormai non è più suo.

"Guardandomi intorno mi vien voglia di continuare, scelga la società."

L'avversario più ostico è stata la Juve di Platini, il momento più bello il 3 - 2 dell'88 a Napoli da cui è nato tutto."

"Rivera col suo carisma ottenne per me un premio scudetto di 50 milioni, Farina faceva l'amicone però ci tradì. Franco Baresi e 400 partite in serie A. Da dove cominciamo?

Dall'ultima. Tra tante che ne ho giocate, quella pareggiata con il Napoli è tra le più incredibili: un'istantanea nitida, l'esempio migliore sulla nostra incredibile stagione.

Solo colpa del caso o della sfortuna?

Anche colpa nostra, certo. Gli errori sono nostri. Però fino a poco tempo fa certi tiri sarebbero entrati in rete, altre azioni avrebbero avuto miglior sorte. Forse è proprio vero che non potevamo continuare a vincere...

Dietro le spalle, un'intera carriera. Apriamo a ventaglio le 399 fotografie che spuntano dalla memoria. Scegline una.

Napoli Milan del Primo maggio '88, lo spareggio decisivo per lo scudetto. Non perché sia stata la più bella, ma perché è stata la più importante. E' cominciato tutto lì: poi sono arrivate le Coppe, il mondo, la gloria.

 Eppure Baresi aveva già 28 anni ed era professionista da 10. Possibile che prima non ci fossero ricordi migliori?

"Si, possibile. Avevo già giocato molto, ma ero stato due volte in B, lottavo al massimo per la zona Uefa, che ogni anno era un traguardo molto ambito e difficile"

 E lo scudetto della Stella?

Un bel ricordo, ma un fatto isolato, troppo lontano nel tempo. E poi fu l'inizio del periodo più brutto, più buio.

Eppure una grande soddisfazione a 19 anni.

"Certo, arrivavo dal settore giovanile, ero cresciuto dentro quel Milan. Avevo un contratto di 12 milioni annui. Fu Rivera che parlando con gli altri compagni propose di dare il premio scudetto anche a me: 50 milioni! 

Soldi veri, nel 1979...

"Si soldi veri. Felice Colombo lo pagava bene. Feci il primo acquisto importante della mia vita: una macchina, una Golf grigia per la quale spesi 9 milioni, quasi l'intero stipendio di un anno. Ma lo scudetto andava festeggiato!"

Oggi Baresi è il Milan come lo è stato Rivera ieri. L'idolo diventato prima punto di riferimento, poi riverito compagno, quindi dirigente e infine osservatore di un mondo che ormai non è più suo.

"Guardandomi intorno mi vien voglia di continuare, scelga la società." L'avversario più ostico è stata la Juve di Platini, il momento più bello il 3 - 2 dell'88 a Napoli da cui è nato tutto."

Baresi e Rivera: che tipo di rapporto tra i miti rossoneri? "Era il mio idolo, un sogno per me anche solo l'idea di giocarci accanto. Eppure coronai anche questo traguardo. Lo ricordo a San Siro, quando vincemmo aritmeticamente lo scudetto della Stella, arringare la folla, chiedendo ai tifosi di sgomberare un settore delle gradinate vietate al pubblico per motivi di sicurezza. Un grande carisma: bastava una sua parola per rendere felice un ragazzino come me.

Lo scudetto e poi l'inferno.

"Si. Liedholm se n'era andato, ispirato dal suo amico mago Maggi. La squadra non era stata rinforzata, in panchina c'era Giacomini, un tecnico dalla personalità complessa. Uscimmo al primo turno di Coppa dei Campioni, contro il Porto, ma non fu certo quella delusione più grande."

Già, l'80 è soprattutto l'anno del calcio-scommesse... "E della nostra retrocessione a tavolino. Io non sapevo niente, non capivo certe voci, certi sussurri. Io Collovati e De Vecchi, i giovani della compagnia erano tagliati fuori dal giro. Perdemmo partite in modo strano, netto, incredibile.

Ma non osavo pensare che il Milan, che una squadra stesse davvero giocando per perdere... Mi sembrava impossibile che un professionista potesse abbassarsi a certe cose, per poter guadagnare di più. E invece era vero!

La prima retrocessione e poi il ritorno ai vertici.. "Un lungo, travagliato percorso. La società era debole, il calcio-scandalo lasciò danni per molte stagioni. Soltanto con l'ingresso di Berlusconi, quindi nel '86 i nostri problemi si risolsero definitivamente."

Cosa devi a Berlusconi, cosa senti di dovergli dire in questo momento cruciale della tua carriera?

"Soltanto una cosa: grazie! E siamo in tanto a doverglielo dire. Noi giocatori e i suoi tifosi. E lui con il suo staff che ha costruito il Milan mondiale.

"E di Farina che ricordi hai?

"Contrastanti. Arrivò al Milan accompagnato da una brutta fama. Eravamo preoccupati, ma il primo impatto fu positivo. Lungamente mi sembrò che lavorasse per il nostro bene, faceva l'amicone. Poi quando se n'è andato abbiamo scoperto la verità.

La cosa che mi ha ferito di più è stato trovarmi sui giornali per una questione di evasione fiscale. Non è stato gradevole. I conti però quadrano sempre: basta vedere com'è ridotto lui e dove sono io.

 Guardiamo agli altri personaggi emblematici della tua carriera. Liedholm?

"Gli sarò sempre riconoscente. Mi ha fatto esordire a 18 anni in un ruolo non facile, in cui all'epoca si credeva potessero giocare soltanto quelli più anziani. E' stato per me un grandissimo tecnico e un educatore." Nel tuo libro "un amore chiamato Milan" dedichi un capitolo al massaggiatore Paolo Mariconti. Un'altra figura importante nella tua vita.

"Fondamentale. Lavorava nel settore giovanile e arrivammo praticamente insieme in prima squadra. Sapeva tutto di me e perciò si preoccupava sempre di tenermi allegro, mi voleva bene. E' stato lui a darmi quel soprannome "Piscinin" che mi accompagna ancora adesso.

Quando è morto mi sono sentito un pò più solo."

E Giacomini, Radice e Castagner, gli allenatori che con Liedholm traghettarono il Milan dall'inferno al paradiso?

"Tutti tecnici preparati, ma per loro, per nostra sfortuna a quei tempi la squadra era quello che era. Avevano grandi idee, ma non potevano applicarle. Radice cercava gente grintosa e non ha trovato gli uomini giusti, Castagner pensava un calcio d'attacco ma noi non eravamo ancora pronti."

Poi finalmente arriva Sacchi "Con Berlusconi e le vittorie e i grandi giocatori: una combinazione perfetta che ci spalanca le porte della gloria. Sacchi ci ha dato tanto, ma il suo merito maggiore è averci insegnato l'educazione in campo e fuori. L'aver fatto di noi dei veri sportivi.

Gianni Visnadi Tuttosport

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